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STRESS A LAVORO: GLI EFFETTI E LE RISPOSTE DEI SISTEMI BIOLOGICI
La globalizzazione caratterizzante l’odierno mercato del lavoro si accompagna ad un’inevitabile aumento della competizione, con la scelta di privilegiare, nei processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendali, soluzioni che prevedono contrazione dell’offerta di impiego e contratti a termine; tutto ciò con evidenti ricadute sul livello di stress nei luoghi di lavoro.
In particolare da uno studio condotto in Europa emerge che “l’insicurezza e la precarietà nel lavoro sono fattori che si associano ad un incremento dello stress percepito e, parallelamente, al deterioramento dello stato di salute riferito”. Senza tener conto anche del carico aggiuntivo di stress di particolari categorie di lavoratori, come i turnisti.
E lo “stress cronico, fisico e psicosociale, rappresenta un rischio per la nostra salute. Numerosi studi clinici ed epidemiologici lo vanno dicendo ormai da tempo e il ventaglio di patologie associate allo stress è divenuto oggi molto ampio, dalle malattie infettive a quelle croniche metaboliche, fino ai tumori”.
A parlare in questi termini dello stress, con riferimento a diversi studi e pubblicazioni, è un intervento al convegno “La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione” (8 novembre 2013, Università degli studi di Urbino) (cfr. allegato). Intervento che è stato pubblicato, insieme agli altri atti del convegno, tra i “Working Papers” di Olympus, con il titolo “ La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione - Atti del Convegno Urbino - 8 novembre 2013”.
In “Effetti dello stress sui sistemi biologici. Possiamo misurarli?”, a cura di Andrea Minelli (professore associato di Fisiologia nell’Università di Urbino Carlo Bo) e Roberta De Bellis (ricercatrice di Biochimica nell’Università di Urbino Carlo Bo) si ricorda che gli animali, uomo compreso, “sono sistemi biologici ‘aperti’ che interagiscono costantemente con l’ambiente fisico e sociale che li circonda e che, a fronte delle sollecitazioni sempre mutevoli che ricevono dall’ambiente, devono mantenere la stabilità e l’efficienza dei parametri fisiologici adottando comportamenti adeguati”. In definitiva lo stress è una “risposta di accomodazione allostatica” (nel modello allostatico le funzioni mentali “vengono integrate nei processi di regolazione degli stati fisiologici e corporei”), è una risposta adattativa, “nella quale si riconosce il ruolo dei fattori fisici, ma anche di quelli psico-cognitivi e affettivi”.
E se lo stress acuto induce risposte adattative vitali per l’organismo, “quando lo stress diventa cronico, se gli eventi stressanti sono prolungati o si ripetono frequentemente, allora le modificazioni fisiologiche divengono meno ‘elastiche’ e non più completamente reversibili”. Insomma lo stress cronico, “tramite il graduale processo di accumulo di carico allostatico sui sistemi biologici, va a costituire le basi fisiopatologiche comuni che contribuiscono allo sviluppo di patologie croniche molto diverse fra loro, metaboliche e neuro-psichiatriche, cardiovascolari e infettive, fino a quelle oncologiche”.
Rimandando ad una lettura integrale dell’intervento, che si sofferma nel dettaglio sugli aspetti della misura del carico allostatico e sugli indici correlati, l’intervento indica che il modello allostatico “propone che, per avere un quadro accurato degli effetti biologici e del rischio clinico correlati allo stress cronico, occorre valutare la funzionalità dell’intero network nel suo complesso, misurando ‘collettivamente’, in fase sub-clinica, le disfunzioni dei mediatori primari insieme ai loro effetti secondari. La valutazione del carico allostatico “effettuata già in fase preclinica e asintomatica, potrebbe rappresentare un obiettivo importante in ottica di screening e di prevenzione dei rischi biologici associati allo stress”.
Ricordiamo che con “carico allostatico” - descritto nell’intervento con riferimento a diversi studi - si possono intendere quelle modifiche o, a lungo andare (specialmente se i processi adattativi diventano cronici o inefficienti), quel prezzo che l’organismo deve pagare per adattarsi alle condizioni mutevoli che affronta.
I relatori mostrano come l’indice multi-sistemico di carico allostatico possa rappresentare un “buon predittore di rischio clinico”. Ma possiamo “utilizzare l’indice aggregato per misurare gli effetti biologici dello stress cronico”? Nell’intervento vengono presentate varie evidenze che possono essere addotte a sostegno della relazione fra stress cronico e carico allostatico.
Veniamo infine a parlare di carico allostatico e stress lavoro-correlato.
L’utilità di avvalersi di un indice aggregato multi-sistemico di carico allostatico è mostrato in vari esempi.
Ne riprendiamo alcuni:
- “in Germania, operai anziani con elevati carichi di lavoro mostravano livelli più alti di carico allostatico, particolarmente nei parametri cardiovascolari e infiammatori,
- in un gruppo di lavoratrici svedesi impiegate in sanità pubblica, i tempi di recupero dopo attività lavorativa intensa erano positivamente correlati con il livello di carico allostatico misurato prevalentemente su variabili metaboliche, cardiovascolari ed antropometriche”.
Le evidenze riportate nell’intervento incoraggiano “l’impiego di un indice multi-sistemico di carico allostatico al fine di valutare e monitorare nel tempo gli effetti dello stress cronico in ambiente di lavoro.
Istituti di sorveglianza e prevenzione, avvalendosi di indici di questo tipo, potrebbero identificare precocemente gruppi di lavoratori particolarmente vulnerabili a subire le conseguenze fisiche e psicologiche dello stress cronico lavoro-correlato, con conseguenze che ricadrebbero sulle loro capacità e prestazioni professionali in primis, ma anche sulle loro traiettorie di salute”; senza dimenticare che il carico allostatico può regredire. Infatti su lavoratori particolarmente vulnerabili, identificati in fase preclinica e ancora asintomatica, si potrebbero attuare strategie di intervento mirate di riduzione dello stress, a beneficio del lavoratore stesso del datore di lavo, nonché della comunità intera.
A alcuni dati mostrano, ad esempio, come “interventi mirati ad incrementare la flessibilità e il controllo dei lavoratori sul proprio orario di lavoro sembrano avere effetti molto positivi sugli end-point considerati, sia quelli primari (pressione arteriosa e frequenza cardiaca, qualità del sonno, fatica, benessere mentale, stato di salute percepita), che quelli secondari (senso di comunità e di supporto dall’ambiente lavorativo)”.
Concludendo, l’indice aggregato di carico allostatico fornisce un “utile strumento di previsione del rischio biologico, diverso rispetto agli indici di rischio tradizionali, selezionati essenzialmente in base al loro contributo specifico alle patologie per cui sono usati quali predittori”. Un indice che, “incorporando informazioni riguardanti una molteplicità di sistemi fisiologici diversi, coinvolti in maniera funzionalmente intercorrelata nei processi allostatici di adattamento, è in grado infatti di rispecchiare più compiutamente gli effetti cumulativi del carico allostatico sul nostro organismo. Queste caratteristiche lo rendono uno strumento particolarmente adatto a valutare gli effetti biologici dello stress psico-sociale cronico, compreso quello che si verifica in ambiente lavorativo”.
Si rimanda alla lettura integrale del documento.
A cura di: Dott.ssa Elena RICHERI
ALLEGATI
Allegato: La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato