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PNEUMATICI FUORI USO: NORMATIVA E AMBIENTE
Nel 21esimo secolo, con la crescita del mercato automobilistico, vengono prodotte grandi quantità di pneumatici fuori uso (PFU). Secondo le statistiche ETRA (European Tyre Recycling Association) ogni anno nel mondo, si generano più di 6 milioni di tonnellate di pneumatici usati.
Secondo Ecopneus (società senza scopo di lucro che si occupa della gestione dei PFU, costituita dai principali produttori di pneumatici operanti in Italia) sottraendo le quote destinate al riuso, all’export e alla ricostruzione (rispettivamente il 5%, il 4% e il 9%) la quota degli PFU generati in Europa è pari a 2,6 milioni di tonnellate di cui oltre il 95% è stato avviato a recupero. Esiste però un margine di incertezza, difficilmente quantificabile, di gomme usate che vengono sottoposte a deposito temporaneo o abusivo e non destinate a impianti di riciclaggio.
Questa grande quantità di rifiuti, oltre a rappresentare un vettore di energia e materia porta a gravi ripercussioni sull’ambiente. Gli pneumatici infatti, sono progettati e costruiti per essere estremamente resistenti alla degradazione fisica, chimica e biologica.
L’Unione Europea già dal 1993 aveva inserito gli pneumatici fuori uso tra i flussi di rifiuti prioritari, la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti, li include tra i rifiuti per i quali devono essere stabiliti dei criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale.
I paesi della Comunità europea hanno sviluppato 3 diversi modelli per regolare e migliorare la gestione degli pneumatici fuori uso:
- SISTEMA A TASSAZIONE: le autorità del paese sono responsabili per il recupero e il riciclo dei PFU. I produttori pagano una tassa allo stato, il quale è responsabile dell’organizzazione e remunera gli operatori nella catena del recupero. La tassa viene successivamente applicata al consumatore. Questo sistema vige in Danimarca, Slovacchia e Slovenia.
- LIBERO MERCATO: la legge stabilisce le norme da rispettare e l’attribuzione delle responsabilità per le varie attività, ma non prevede un responsabile di filiera. In tal modo tutti gli operatori del sistema stipulano contratti tra di loro secondo le condizioni del libero mercato e agiscono in conformità con la normativa locale sui rifiuti. Questo sistema vige in Austria, Bulgaria, Croazia, Germania, Irlanda, Svizzera e Regno Unito.
- PRODUCER RESPONSABILITY: la legge definisce l’assetto legale e conferisce ai produttori la responsabilità di organizzare la gestione degli PFU. E’ possibile la costituzione di società senza scopo di lucro per gestire gli PFU attraverso soluzioni economicamente efficienti. I produttori hanno l’obbligo di monitorare e rendicontare alle autorità nazionali. Questo sistema vige in Norvegia, Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Finlandia, Estonia, Francia, Polonia, Portogallo, Ungheria, Romania, Spagna, Grecia e Italia. I paesi che applicano questo modello possono arrivare ad un recupero degli PFU fino al 100%. Il tasso di raccolta e recupero è aumentato costantemente negli ultimi 15 anni, favorendo la nascita di prodotti innovativi, vantaggiosi sia per le industrie sia per i consumatori e contribuendo a creare un mercato sostenibile per i derivati degli pneumatici fuori uso.
La normativa italiana si è adeguata alle direttive europee, profilando un quadro normativo di recepimento di queste ultime. Il testo a cui si fa riferimento in materia di ambiente è il Codice dell’Ambiente, il Decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, in particolare le norme che disciplinano la gestione dei rifiuti sono sancite dall’art. 228.
In particolare gli pneumatici già utilizzati si dividono in due categorie:
- Pneumatici fuori uso (PFU): considerati rifiuto a tutti gli effetti, destinati ad attività di recupero o di smaltimento. Nell’allegato D alla parte IV del D.lgs. 152/2006 il “pneumatico fuori uso" viene classificato con il codice CER 16.01.03 (rifiuto speciale non pericoloso);
- Pneumatici usati: ossia gomme usate che possono ancora essere riutilizzate per la loro funzione originaria. Questo può avvenire quando le condizioni di usura sono tali per cui si rispetta la disciplina di settore tecnica e stradale (limite di usura del battistrada riportato nell’art.66 della legge 19 febbraio 1992 n.142), oppure quando si possa intervenire con ricostruzioni della copertura.
Facendo riferimento al D.lgs. 24 giugno 2003, n. 209 “Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso”, nonché ai criteri di priorità nella gestione dei rifiuti (art. 179 D.lgs. 152/06) e di prevenzione nella produzione degli stessi (art.180), al fine di ottimizzare il recupero degli pneumatici fuori uso e per ridurne la produzione anche attraverso la ricostruzione, si istituisce l’obbligo per i produttori e gli importatori di pneumatici di provvedere, con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale.
I soggetti coinvolti sono tenuti ad ottemperare a questo obbligo a seguito dell’emanazione di un apposito decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (D.M. 11 aprile 2011, n. 82). Per far fronte agli oneri di tale obbligo il D.lgs. 152/06 prevede che in tutte le fasi della commercializzazione sia indicato in fattura il contributo a carico degli utenti finali.
Secondo il D.M. 11 aprile 2011, n. 82, per PFU si intendono “gli pneumatici, rimossi dal loro impiego a qualunque punto della loro vita, dei quali il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi e che non sono fatti oggetto di ricostruzione o di successivo riutilizzo”. La norma definisce anche la figura del “generatore di PFU” come “la persona fisica o giuridica che, nell'esercizio della sua attività imprenditoriale, genera PFU”. In concreto tale figura è riconducibile al soggetto che effettua a titolo professionale la sostituzione degli pneumatici (gommista).
Pertanto alla luce della normativa generale sui rifiuti e di settore, la gestione degli pneumatici fuori uso è a carico del gommista, che effettua anche l’attività di riparazione, sostituzione e montaggio. Spetta poi allo stesso valutare se lo pneumatico possa essere destinato alla ricostruzione, senza assumere la qualifica di rifiuto, oppure debba essere considerato PFU da avviare a recupero/smaltimento affidandolo al Servizio nazionale di riferimento.
Per quanto concerne lo smaltimento il D.lgs. 36/03, all’art. 6 c. 1 lettera o), specifica che non sono ammessi in discarica i “pneumatici interi fuori uso a partire dal 16 luglio 2003, esclusi i pneumatici usati come materiale di ingegneria ed i pneumatici fuori uso triturati a partire da tre anni da tale data, esclusi in entrambi i casi quelli per biciclette e quelli con diametro esterno superiore a 1400 mm”.
Per limitare la produzione di pneumatici fuori uso e assicurarne una gestione ecocompatibile è necessario:
- Ottimizzare, attraverso una corretta manutenzione, la durata media d’impiego con la conseguente riduzione della produzione di rifiuti;
- Avviare alla ricostruzione gli pneumatici ricostruibili;
- Massimizzare il recupero di materia o energetico degli pneumatici fuori uso generati.
La difficoltà nel rendere riciclabile lo pneumatico è dovuta al fatto che a livello industriale durante la produzione si ricorre alla vulcanizzazione, processo che si basa sull’aggiunta di poche unità percentuali di zolfo al lattice dell'albero della gomma, utilizzando la temperatura come catalizzatore. La gomma vulcanizzata ha caratteristiche molto diverse dall’elastomero da cui deriva, come: aumento dell’elasticità e della resilienza, insolubilità ed infusibilità.
Attualmente, le vie di recupero si basano sulla degradazione dei ponti zolfo tra le catene polimeriche costituenti lo pneumatico; processo meglio noto con il nome di devulcanizzazione, questa permette alla gomma di essere nuovamente sottoposta ad una ulteriore vulcanizzazione per la produzione di nuovi pneumatici. In assenza di questo processo lo PFU può essere impiegato solo come filler in materiali di riempimento come asfalti, campi sportivi, pneumatici e molti altri prodotti che richiedono un riempimento in gomma.
La devulcanizzazione prevede l’utilizzo di processi chimici, termici e meccanici altamente inquinanti, in quanto rilasciano gas tossici nell’ambiente e prevedono un enorme spreco di energia. A causa dell’utilizzo di additivi chimici o di alte temperature, c’è un elevato rischio che si rompano anche le catene polimeriche che costituiscono la gomma stessa, la quale verrebbe denaturata perdendo tutte le sue caratteristiche chimiche e fisiche.
È per questo che si stanno cercando delle alternative volte, non solo a ridurre il grado di inquinamento e di consumo energetico dei normali processi di devulcanizzazione, ma anche dotate di forte selettività per la struttura reticolata. Tra queste, una strategia molto promettente è rappresentata dall’utilizzo di microrganismi, questi essendo dotati di vie metaboliche desolforanti riescono ad effettuare una rottura selettiva dei ponti zolfo presenti nella gomma vulcanizzata, senza intaccare la catena polimerica. Questo processo di rottura dei legami carbonio-zolfo e zolfo-zolfo prende il nome di devulcanizzazione microbica o biodevulcanizzazione.
Questa strategia, infatti, è un processo molto più vantaggioso rispetto a quelli meccanici, chimici o termici per diversi motivi:
- L’uso di microrganismi naturalmente presenti nell’ambiente garantisce al sistema un elevato grado di eco-compatibilità; si ha così un processo non inquinante;
- È economico, i microrganismi non richiedono un grosso spreco di risorse per il loro utilizzo;
- La gomma naturale, una volta terminato il suo ciclo nello pneumatico, potrà essere destinata a nuovi utilizzi;
- L’utilizzo di microrganismi garantisce alle reazioni di devulcanizzazione un elevato grado di selettività, la quale è del tutto assente negli altri processi meccanici, chimici e termici, rappresentando per questi ultimi un forte limite. I microrganismi impiegati, infatti, sono dotati di pathway metabolici, in cui specifici enzimi intervengono in maniera selettiva a catalizzare la rottura dei legami carbonio-zolfo e zolfo-zolfo della gomma, senza intaccare i polimeri costituitivi dell’elastomero stesso, il quale quindi non viene distrutto. Ciò che si ottiene è la separazione dello zolfo dalla sostanza organica, ossia la gomma devulcanizzata.
Questo processo presenta quindi diversi vantaggi per questo motivo esistono numerosi studi scientifici e brevetti in materia, ma che non hanno ancora avuto un’applicabilità a scala industriale, sarà quindi necessario compiere ancora molti studi e approfondire le conoscenze.
Speriamo dunque che le grosse case produttrici di pneumatici investano nella ricerca e che si riesca nel più breve tempo possibile a sviluppare ed incentivare la biodevulcanizzazione.
A cura di: Dott.ssa Elena MARTIS