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 Ven 20 Gen 2017

LA RIORGANIZZAZIONE DELLE POSTAZIONI DI LAVORO A RISCHIO CTD

  ctd , ergonomia , valutazione dei rischi

LA RIORGANIZZAZIONE DELLE POSTAZIONI DI LAVORO A RISCHIO CTD

L’evidenza di un significativo rischio per gli operatori, connesso con l’effettuazione di movimenti ripetitivi degli arti superiori, genera la necessità di adottare interventi di mitigazione del rischio medesimo, anche attraverso la riprogettazione dei posti di lavoro e delle procedure operative, secondo aspetti strutturali ed organizzativi. La bontà del risultato sarà direttamente proporzionale al livello di intervento negli ambiti suddetti.

Gli interventi strutturali sono, di norma, universalmente riconosciuti e riguardano principalmente l’organizzazione ottimale del posto di lavoro, degli arredi e delle attrezzature, nonché la scelta di strumenti/attrezzature di lavoro con elevati standard ergonomici. Da ciò deriva una limitazione delle conseguenze correlate alla postura adottata, alla forza applicata, nonché ad alcuni fattori complementari di tipo fisico/meccanico.

Per il controllo del fattore di rischio postura, l’obiettivo è quello di evitare movimenti o posizioni protratte, che impongono ai comparti mano – polso – gomito – spalla di permanere per lunghi periodi (oltre al 50% del tempo dedicato all’attività ripetitiva) in condizione di massima escursione (flessioni, estensioni, pronazioni, supinazioni, deviazioni, a seconda del segmento interessato). Per consentire agli arti di lavorare il più possibile in posizione neutra, occorre quindi valutare ed eventualmente correggere: le altezze del piano di lavoro (per attività svolte in piedi o da seduti), le altezze del sedile (per le attività da seduti), le aree operative per gli arti superiori. Al proposito, la norma tecnica armonizzata UNI EN ISO 14738 tratta i requisiti antropometrici per la progettazione dei posti di lavoro.

Per il controllo del fattore di rischio forza, occorre ridurre/evitare lo sforzo muscolare eccessivo, durante l’effettuazione di un compito. L’uso di forza può anche essere condizionato dalle cattive caratteristiche ergonomiche del posto di lavoro e non solo direttamente connesso al compito da svolgere. In particolare, le posture incongrue del polso e della mano riducono drasticamente la capacità di applicazione di forza da parte della muscolatura del segmento interessato. Una riduzione della richiesta di forza può essere ottenuta utilizzando strumenti a motore (un avvitatore in sostituzione di un cacciavite); strumenti meccanici di presa e di fissaggio della presa (una pinza in sostituzione della pressione manuale, per la tenuta di un particolare); leve più vantaggiose azionabili in posizioni migliori da gruppi muscolari più forti; compiti con una prevalente componente meccanizzata; etc. L’efficacia di uno strumento ergonomico contribuisce inoltre al controllo dei fattori complementari, evitando: deviazioni importanti del polso; prese in pinch/uncino a favore di prese in grip; azioni ripetute; impugnature sfavorevoli all’applicazione di forza; movimenti a strappo e colpi; compressioni localizzate; trasmissione di vibrazioni meccaniche; etc. Da prediligere strumenti con impugnatura rivestita da materiale non scivoloso, non conduttore termico (caldo e freddo), privo di bordi taglienti e parti non protette.

Gli interventi organizzativi si rendono necessari in particolar modo nelle situazioni lavorative caratterizzate da alte frequenze nel numero di azioni tecniche eseguite (numero di azioni al minuto), ovvero in caso di non sufficienti periodi di recupero funzionale. Di norma sono interventi “meno graditi” dalle direzioni aziendali, poiché generano un inevitabile impatto sulla produttività (tendono infatti a ridurre la frequenza e ad aumentare le pause). Una riorganizzazione attenta può tuttavia ridurre gli effetti collaterali di tali interventi. La riduzione dei ritmi di lavoro (con conseguente riduzione della produttività) può essere sostituita, almeno in parte, dalla ricerca di soluzioni di ottimizzazione (per qualità e quantità) dello svolgimento delle azioni per il completamento di un compito, come di seguito indicato:

- individuazione ed eliminazione delle azioni tecniche inutili, aggiunte dall’operatore (es. abitudine a riavvitare 4 volte anziché 2) o erroneamente previste a livello progettuale (es. necessità di raggiungere un componente, prima di prenderlo e posizionarlo), ovvero ancora necessarie per bilanciare un inconveniente tecnico (es. necessità di ribattere un perno difettoso);

- ottimizzazione della distribuzione delle azioni su entrambi gli arti superiori: gli operatori hanno spesso la tendenza a concentrare tutte le azioni sull’arto dominante, senza considerare che le azoni più semplici, a basso livello di precisione (prelevare pezzi, depositarli, girare i particolari, etc.), possono essere condotte dall’arto secondario, con un conseguente calo di frequenza su quello dominante;

- identificazione e analisi delle azioni tecniche identiche: la presenza di azioni tecniche identiche, ripetute, è indice di elevata stereotipia, con conseguente aumento del livello di rischio per le strutture muscolo-tendinee interessate (lo stesso comparto è costretto ad eseguire sempre le stesse azioni). Tale circostanza può, in taluni casi, essere evitata, introducendo l’uso di uno specifico utensile meccanico che operi in sostituzione dei gesti manuali (in tal caso si introdurrà al massimo una unica azione tecnica statica, al posto di n. azioni tecniche dinamiche, con evidenti benefici sulla mitigazione della frequenza e quindi del rischio);

- individuazione ed eliminazione delle azioni accessorie non strettamente necessarie: può accadere che nella sequenza dei cicli, fra un ciclo e l’altro, si compiano azioni accessorie che non danno un valore aggiunto al ciclo produttivo (ad esempio quando si preleva un particolare da un nastro trasportatore, lo si ruota e lo si appoggia sul banco di lavoro, prima di realizzare il ciclo vero e proprio). Si tratta di azioni che spesso richiedono anche l’utilizzo di forza, ovvero l’adozione di posture incongrue ripetute. Al fine della eliminazione di tali azioni si deve valutare, ad esempio, la possibilità di creare maggiori raccordi fra le linee di asservimento e le postazioni operatore, per evitare/limitare i prelievi e i depositi.

L’organizzazione può prevedere, inoltre, la rotazione su differenti postazioni di lavoro. L’efficacia di tale intervento, dal punto di vista della riduzione del rischio, sarà tanto maggiore quanto più differenti saranno i compiti ripetitivi coinvolti (vale a dire caratterizzati da differenti indici di rischio) e quanto più frequente sarà la rotazione fra le postazioni.

Non ultima è l’importanza attribuita alla presenza di adeguati tempi di recupero, all’interno del turno. La condizione ottimale è rappresentata dall’ottenimento di un rapporto 5:1 fra compiti ripetitivi e periodi di recupero (pause vere e proprie o compiti non ripetitivi), all’interno di ogni ora nel turno. In alcuni casi si verifica una non corretta distribuzione delle pause, pur presenti in numero adeguato. Al proposito occorre tenere presente che:

- è opportuno ottimizzare la distribuzione delle pause ufficiali; è preferibile ridurre la durata di ogni singola pausa (in ogni caso la pausa deve essere di almeno 8 minuti), aumentando la frequenza delle interruzioni;

- è preferibile collocare le pause al termine di un’ora di compito ripetitivo;

- occorre evitare la collocazione delle pause in prossimità dell’orario della sosta per il pasto (ultima ora prima del pasto), ovvero in prossimità della fine del turno (ultima ora di lavoro), essendo questi due periodi già caratterizzati da naturale recupero.

In ultima analisi, qualora nessuna delle azioni correttive proposte fosse applicabile, si renderà necessario, al fine della mitigazione del rischio, ribilanciare il carico operativo del posto di lavoro e/o della linea.





A cura di: P.I. Marco ANTONIELLI


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