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 Mar 10 Nov 2020

COVID-19: LA MASCHERINA NON È UNA SCIARPA

  COVID-19 , dpi , salute

COVID-19: LA MASCHERINA NON È UNA SCIARPA

A ormai quasi un anno di diffusione del virus SARS-CoV-2 a livello globale noto ancora un sentimento generale di avversione nei confronti delle misure di contenimento dell’epidemia, quasi come se rispettarle fosse solo un fastidioso obbligo di legge e non imprescindibile mezzo di contrasto di un nemico comune, per il bene di tutti.

Partiamo dall’inizio: droplets

È ormai appurato che il virus SARS-CoV-2 si trasmette mediante droplets. Ma di cosa si tratta?

Secondo un documento di marzo 2020 dell’ISS  si definiscono droplets le goccioline prodotte naturalmente dall’uomo con la respirazione, con la fonazione, con gli starnuti e con la tosse. All’interno di queste goccioline si riscontrano, di norma, vari tipi di cellule del tratto respiratorio, ma è possibile riscontrarvi anche microorganismi, tra cui batteri, funghi e virus.

I droplets tendono a cadere al suolo a distanze variabili in base alla loro dimensione, alla velocità alla quale vengono emessi (con tosse e starnuti si può arrivare a 8 metri circa) e alle condizioni ambientali (flusso d’aria, temperatura e umidità relativa).

Tecnicamente si tratta delle “goccioline di Flügge”, che prendono il nome dal batteriologo e igienista tedesco Carl Georg Friedrich Wilhelm Flügge, a cui dobbiamo una buona parte della comprensione della contagiosità per via aerea delle malattie. Egli, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, grazie a numerosi esperimenti riguardanti le vie di contagio della tubercolosi, chiarì in maniera inequivocabile la reale modalità di trasmissione diretta del contagio attraverso le goccioline di saliva emesse dal malato, oggi note, per l’appunto, come goccioline di Flügge.

Ma come condusse gli esperimenti? In assenza di telecamere e agenti traccianti Flügge utilizzò delle persone infette che fece sedere, uno per volta, su una sedia posta al centro di un cubo di vetro di 3 m di lato; quindi collocò delle piastre di Petri in varie posizioni, a diverse distanze, all’interno del cubo. L’esperimento consisteva nel far parlare, tossire o starnutire la persona infetta e, successivamente, iniettare il gel raccolto dalle piastre di Petri (su cui si sarebbero depositate le goccioline di saliva emesse dal malato) in alcuni conigli per verificare quanti di questi sarebbero rimasti contagiati.

Osservò che, in condizioni normali, la percentuale di conigli contagiati superava il 70%. Replicando con un semplice fazzoletto davanti alla bocca del malato il numero di conigli infetti si riduceva, scendendo al 30%. La semplice precauzione dell’uso di un fazzoletto riduceva di molto il pericolo di contagio. Ripeté l’esperimento più volte, anche introducendo correnti d’aria e variando i tempi di esposizione.

In nessun caso riuscì ad azzerare il numero di conigli infetti con il “malato” all’interno del cubo di vetro. I risultati ottenuti, tuttavia, portarono a considerare la protezione delle vie respiratorie come primo mezzo di riduzione di un contagio. Ne conseguì, ad esempio, l'introduzione delle mascherine in sala operatoria e delle mascherine di comunità già durante l’influenza Spagnola.

Flügge stabilì anche che il tasso di infettività è inversamente proporzionale alla distanza e fissò in 2 metri la distanza di "compromesso" fra diluizione (zero non esiste: finché il “malato” era nel cubo di vetro, i conigli si infettavano) e praticità.

Oggi il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) parla di distanza interpersonale minima di 6 piedi (1,82 metri). L’OMS parla invece di 1 metro, a cui si è allineata la normativa italiana.

Ventilazione dei locali

L’esperimento di Flügge, quindi, dimostra l’importanza della mascherina, ma evidenzia anche che in caso di esposizione prolungata in un ambiente chiuso, non è sufficiente. Un fattore importante che entra in gioco nella diffusione del contagio è quindi la ventilazione, soprattutto quando non sia possibile ridurre il tempo di permanenza nel locale.

Questo concetto è ben spiegato da uno studio pubblicato su El Paìs in cui sono messe a confronto tre situazioni: un salotto, un bar e una classe scolastica: https://english.elpais.com/society/2020-10-28/a-room-a-bar-and-a-class-how-the-coronavirus-is-spread-through-the-air.html

Al fine di limitare il contagio negli ambienti chiusi è quindi fondamentale garantire una ventilazione adeguata.

Un video diffuso dall’Ospedale pediatrico di Roma “Bambino Gesù” mostra in che modo il virus si muove nell’aria a causa di un colpo di tosse emesso da un utente seduto nella sala d’attesa di un pronto soccorso. Attraverso la CFD (Computational Fluid Dynamics), in grado di riprodurre le leggi fisiche dei fluidi, gli ingegneri di Ergon Research e la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) sono stati in grado di ricreare gli scenari oggetto di studio, documentando che il raddoppio della portata dell’aria condizionata all’interno di un ambiente chiuso riduce la concentrazione delle particelle contaminate del 99,6%.

I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Research e forniscono informazioni importanti per contenere la diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti chiusi anche attraverso il trattamento dell’aria.

Qui il video: https://www.youtube.com/watch?v=kOSm9wqVkHo&feature=emb_logo

Qui la pubblicazione della ricerca: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935120312408

Per quanto riguarda la ventilazione naturale, a casa, in ufficio o in altri ambienti di uso comune, è possibile fare riferimento a delle semplici indicazioni come quelle introdotte dalla Germania nelle linee guida del governo per affrontare la pandemia: la ventilazione d’impatto, o Stosslüften, che comporta l’apertura di una finestra al mattino e alla sera per almeno cinque minuti per consentire la circolazione dell’aria, e la ventilazione incrociata o Querlüften, in cui tutte le finestre di un appartamento o un qualsiasi ambiente chiuso vengono aperte per far uscire l’aria viziata e far entrare aria fresca.

Tasso di trasmissione

Si definisce R0 il tasso di trasmissione o, più precisamente, l’indice di riproduzione di un virus. Esso rappresenta il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, cioè al “tempo 0”, in una fase in cui normalmente non sono ancora state adottate misure per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta, quindi, il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata.

Se R0 > 1 si parla di epidemia; se R0 < 1 l’epidemia si estingue.

Nota: l’indice di riproduzione dipende da molti fattori, a cominciare dal numero di persone al giorno che un individuo contagioso incontra, dal tempo di esposizione, dalla durata dell’infezione e dalla probabilità di trasmissione dell’infezione stessa per singolo contatto. Tutte queste variabili sono difficili da osservare direttamente; in genere ci si basa su stime utilizzate per elaborare dei  modelli matematici che risultando più o meno rispondenti al vero a seconda della bontà delle assunzioni fatte. Pertanto, soprattutto quando si ha a che fare con un virus nuovo come Sars-Cov-2, l’R0 non è mai un dato certo ma il frutto valutazioni e calcoli fatti sulla base delle conoscenze disponibili, che sono in continua evoluzione.

Si parla invece di Rt per definire il tasso di trasmissione al “tempo t”, cioè in un qualsiasi istante successivo al “tempo 0”, tenendo conto delle misure di contenimento adottate. Rt, quindi, indica come varia lo stato di contagiosità del virus in una certa zona, ad esempio una regione d’Italia, al variare del tempo, in funzione delle misure che quella regione ha messo in campo e dalla loro efficacia. Questo significa che, a differenza di R0, Rt permette di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

Il tasso di trasmissione Rt è uno dei fattori utilizzati per classificare le regioni italiane nelle tre zone (gialle, arancioni e rosse) previste dal DPCM del 3 novembre 2020, assieme ad altri parametri tra cui il numero dei casi sintomatici, i ricoveri, la percentuale di tamponi positivi, il numero di nuovi focolai e l’occupazione dei posti letto in rapporto con la disponibilità.

Ogni venerdì l’ISS valuta in maniera complessiva i dati della settimana aggiornando i valori di Rt per regione.

Secondo gli ultimi dati alcune regioni italiane hanno Rt > 2. Questo vuol dire che 1 persona infetta mediamente ne contagia 2, che ne contagiano 4, che ne contagiano 8 e così via. . .

E se tutti usassimo le mascherine?

Una delle novità più importanti introdotte dal DPCM del 13 ottobre 2020 è stata quella dell’”obbligo di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, nonché obbligo di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto (a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche del luogo o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi)”.

Il DPCM è ormai superato ma i successivi decreti hanno ripreso e confermato questa parte. Avrà senso?

Le mascherine chirurgiche hanno una ridotta capacità di protezione per chi le indossa, principalmente a causa della scarsa aderenza al volto; tuttavia, come abbiamo visto, sono in grado di bloccare la fuoriuscita di buona parte delle goccioline prodotte da chi le indossa riducendo la probabilità di contagio anche dell’80% (secondo il vademecum “Mascherine COVID-19 - guida all’uso” del Dipartimento dei Vigili del Fuoco -  dipvvf.STAFFCNVVF.REGISTRO.UFFICIALE.U.0019179.04-11-2020.h.10:38 - fino al 94% - cfr. allegato).

Allora è sufficiente indossare la mascherina? No. L’uso della mascherina è una misura complementare che non sostituisce altre misure preventive fondamentali come distanziamento fisico e il divieto di assembramento, l’igiene personale e delle superfici e la ventilazione degli ambienti chiusi.

Tuttavia, tenendo conto del loro elevato fattore di riduzione del contagio, se tutti gli infetti indossassero una mascherina chirurgica (o una mascherina di comunità o, in mancanza d’altro, un semplice fazzoletto) il numero dei contagiati si ridurrebbe sensibilmente, proprio come avvenne con i conigli dell’esperimento di Flügge. In questo modo Rt anche maggiori di 2 si ridurrebbero velocemente a valori inferiori a 1, portando l’epidemia ad estinguersi.

Come riportato dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) in un articolo dell’8 aprile 2020 dal titolo Using face masks in the community - Reducing COVID-19 transmission from potentially asymptomatic or pre-symptomatic people through the use of face masks: “Una mascherina può contribuire a ridurre la diffusione dell’infezione nella comunità riducendo al minimo l’escrezione di goccioline respiratorie da parte di individui infetti che potrebbero non sapere nemmeno di esserlo e prima che sviluppino qualsiasi sintomo.”

Tutti potremmo essere positivi e non saperlo quindi tutti dovremmo sempre indossare la mascherina.

L’articolo è riportato anche sul sito del Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?menu=notizie&id=4521

Nota: l’uso delle mascherine riduce anche il contagio indiretto, ovvero quello che avviene per contatto con superfici contaminate, sulle quali si sono depositate le goccioline emesse dall’infetto (maniglia della porta, carrello della spesa, sbarra del tram, ecc.). Anche in questo caso l’uso della mascherina è utile a proteggere gli altri (sebbene il CDC classifichi questo modo di contagio come il meno probabile).

Chiaramente la mascherina, per essere efficace, deve essere indossata correttamente e coprire completamente il viso, dal ponte del naso fino al mento. Quella che sembra un’ovvietà a quanto pare non lo è, tanto che il governo ha provveduto a ricordarlo con un’infografica dedicata.

L’uso della mascherina, quindi, non deve essere interpretato erroneamente come un tentativo di proteggersi dagli altri ma come una misura per proteggere gli altri; indossare una mascherina dovrebbe essere promosso come un atto di solidarietà.

Affinché questo avvenga, però, occorrono:

- Consapevolezza, da parte di tutti, di come funziona il contagio e di come funzionano le misure di contenimento; in altre parole serve informazione. Purtroppo la sensazione è che la mascherina sia ancora vista come dispositivo che proteggere solo se stessi.

- Senso di responsabilità nei confronti del prossimo e della società: tutti dovrebbero comportarsi, sempre, come positivi asintomatici e, in quanto tali, indossare la mascherina per non diffondere il virus ed evitare di contagiare le altre persone.

Un esempio di consapevolezza e senso di responsabilità ci arriva dal Giappone, con città molto grandi e affollate e uso intenso del trasporto pubblico, e in cui i cittadini sono educati ad indossare la mascherina ai primi sintomi di raffreddore, senza necessità di obblighi legislativi, per semplice rispetto degli altri.

Il Giappone ha una popolazione doppia rispetto a stati come Italia e Francia ma il numero di casi totali di Covid-19 è circa un decimo!

Il concetto è ben espresso in questo video del CDC: https://youtu.be/KpXZkChOXwI



Fonti:

Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it

Istituto Superiore di Sanità: https://www.iss.it/

Centers for Disease Control and Prevention: https://www.cdc.gov/

World Health Organization: https://www.who.int/





A cura di: Ing. Riccardo BESSONE


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